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IL PINOT NERO, DALLA BORGOGNA A NEIVE

LE ORIGINI

Si ritiene che il Pinot Nero sia coltivato in Borgogna da oltre 2.000 anni, con molta probabilità era già presente nella regione prima delle invasioni da parte dei Romani.

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In Borgogna era noto sicuramente fino dal VI secolo ma non con il nome attuale (questo perché le varietà allora non possedevano un nome).

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Già nel I sec. dopo Cristo  autori come Plinio il Vecchio e Columella ne parlano nelle loro opere:

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• Columella parla di un vitigno presente in Allobrogia a foglie rotonde (vite selvatica) che sopporta il freddo; il suo vino si conserva con l’invecchiamento e ama i terreni magri per la sua elevata fertilità;

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• Plinio documenta la presenza in Borgogna e lo cita nell’opera “Naturalis Historia” nel libro XIV

Dall’analisi genetica, si è scoperto che:

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  • l’origine del Pinot è in una area geografica compresa tra Francia, Germania ed Austria (bacino del Reno e suoi affluenti)

  • è parente stretto di molti altri vitigni (tra cui Chardonnay, Gamay, Aligoté, Auxerroi, ecc.);

  • E’ figlio di Traminer e di Meunier.

  • E’ padre di molti vitigni quali Heunisch B., Furmint., Honigler, vitigni di origine pannonica

  • è anche un antenato di Teroldego, Lagrein e Syrah.

 

Il Pinot Nero che conosciamo non è però quello delle origini. Solo nel XVIII e XIX sec. in Borgogna e Champagne compaiono le tipologie che conosciamo oggi. Ci sono voluti quindi circa 1500 anni per arrivare al Pinot Nero attuale.

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Il primo che cita il nome di Pynos è il poeta Eustache Deschamps nel XII sec. e poco dopo in uno scritto borgognone si parla di Pinots al plurale (famiglia varietale). Da allora le citazioni si moltiplicano e Champagne e Borgogna si contendono il luogo d’origine del vitigno.

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In Champagne il nome di Pinot era Vert Doré e Plant Doré per il colore degli apici e dei germogli giovani, o Cep con l’aggettivo della provenienza (Auvernat, Orleans).

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PINOT NERO IN PIEMONTE 

Nelle Langhe e nel Monferrato, dal 1700 ad oggi.

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Le prime notizie certe sull’introduzione del vitigno francese in Piemonte, si hanno verso la fine del 1700, in situazione storica di piena influenza francese.

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A questo riguardo, Louis Oudart, nella sua Introduzione all’Ampelografia Italiana, Genova 1873, a pagina 45 scrive: 


“Abbiam veduto co’ nostri occhi un vigneto piantato di Pinò e di Gamè, or sono più di 80 anni, dall’avo del Conte di Castelborgo, nel suo podere di Neive presso Alba e queste specie, benchè piantate in un terreno e sotto un clima tanto diverso da quello di Borgogna e di Beaujolais, coltivate e potete così diversamente, conservano i loro nodi alla distanza che anche oggi conservano nei vigneti della Borgogna e del Beaujolais. “    

 

Ci conferma quindi che, a fine 1700, il Conte Giovanni Antonio Bongiovanni di Castelborgo, oltre che tifare per Napoleone, amava anche i vini francesi tanto da piantarne le uve.    

Ad introdurre il Pinot in Piemonte furono alcuni nobili proprietari terrieri .
In particolare dobbiamo ricordare gli Asinari di San Marzano 

ASINARI DI SAN MARZANO


Le origini leggendarie della famiglia risalgono ad un certo Asinio degli Asinari, abate dell'Abbazia di Novalesa, che avrebbe accolto Carlo Magno durante la sua venuta in Piemonte.   Altre fonti citano un Asinaro condottiero di Vitige, re dei Goti.


Grazie all'alleanza con una  importante famiglia Ghibellina, divennero molto ricchi e potenti.Già a fine del XIII secolo troviamo Bonifacio e Tommaso in Savoia e Borgogna.


In seguito, però la vittoria dei Guelfi portò all'esilio da Asti della maggior parte degli Asinari. Iniziò lo spostamento degli stessi in altre zone del Piemonte ed all'estero.


Svilupparono ed ampliarono l'attività in Borgogna, diventando finanziatori del conte Eude IV di Borgogna nel 1334.
Nel XIV secolo la famiglia era così sviluppata da essere divisa in cinque linee che con il passaggio della contea di Asti sotto gli Orléans nell'arco di un secolo si trasformarono in nobiltà territoriale e consolidarono il proprio potere in una dozzina di castelli.


Arriviamo quindi al  Marchese Filippo Antonio Asinari di San Marzano (1767 – 1828), diplomatico che si interessò molto ai problemi viti-enologici della zona.  Viticoltore a Costigliole d’Asti e San Marzano Oliveto, il marchese Filippo Antonio sperimentò nuovi vitigni alloctoni e in particolare, nel 1808, delle barbatelle francesi, provenienti dalle «vigne dell’Hermitage».


Contribuì a diffondere la viticoltura nell’Astigiano e valorizzò i vini prodotti nei suoi tenimenti esportandoli in diverse parti del mondo.


Il nobile astigiano Asinari, una delle personalità più illustri del regno di Sardegna, fu un appassionato produttore di vini nei suoi feudi di Costigliole e San Marzano e un intelligente promoter dell’enologia piemontese.

IL GENERALE STAGLIENO

Per conto dei Savoia, Paolo Francesco Staglieno, Generale in pensione, fu chiamato a dirigere la Tenuta Reale di Pollenzo, oggi sede della Banca del Vino dell’Università del Gusto di Slow Food.


Di suo ci resta il manuale di “Istruzioni intorno al miglior metodo di fare e conservare i vini in Piemonte” edito nel 1835, in cui spiega la sua proposta pionieristica: processi di selezione dei graspi, frequenti travasi e passaggi in botti di legno. La vinificazione non avviene più all’esterno, in balìa dei rigidi freddi piemontesi, ma in cantine sotterranee in un ambiente controllato e raccolto.

 

Applica inoltre una vinificazione in tini chiusi da valvole di sfiato che evitavano ossidazioni e contaminazioni. 


Fu inoltre tra i primi in Piemonte ad applicare ai vini la tecnica di spumantizzazione già utilizzata in Francia nella zona di Champagne.    


Come scrive Giusy Mainardi in “ Pollenzo” – edito dai Cavalieri del Tartufo e dei Vini d’Alba nel 2004: «Staglieno desiderava appagare il gusto di loro altezze reali con vino bianco spumeggiante come quello della sciampagna».


Egli accenna, tra le pratiche enologiche, alla fermentazione in piccoli recipienti chiusi (bottiglie?), alla interruzione della medesima.


Grazie alla collaborazione tra Staglieno e Oudart nacque a Pollenzo prima e Santa Vittoria poi lo spumante Vin Musseux Clos de Sancte Victoire di cui abbiamo ritrovato la riproduzione di una etichetta.


In seguito operò anche come consulente nel Castello di Verduno per  Re Carlo Aberto di Sardegna e a Grinzane, nel Castello che fu di Camillo Benso. Fu proprio lo Staglieno, chiamato da Cavour  nel 1836, a dirigere i preparativi per la vendemmia di Grinzane.

CAMILLO BENSO CONTE DI CAVOUR

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L’arrivo del Pinot nero in Piemonte, oltre che alla vicinanza geografica con la Francia, deve molto al Cavour. Nell’800, quando i vini da Nebbiolo erano sovente dolci, ossidati e instabili, sulle tavole dell'aristocrazia Piemontese arrivarono  i prodotti di Bordeaux e della regione di Borgogna ed ebbero grande successo.  

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Vittorio Emanuele e lo stesso Cavour non li facevano mai mancare sulle loro tavole.

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Il giovane Camillo Benso, all’età di 21 anni fu mandato al forte di Bard dove era governatore il Generale Paolo Francesco Staglieno che ritroverà poi in Langa. 

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Nel 1832 Cavour in parte affittò dallo zio Duca Aynard Clermont-Tonnerre ed in parte acquistò dal fallito Cavaliere Giuseppe Antonio Veglio di Castelletto i terreni in Grinzane e vi fece piantare molte viti di Pinot nero.

 

Intanto si prodigò molto per tutta la viticoltura delle Langhe ed in particolare per la sua azienda. Chiamò Staglieno e gli  affidò la direzione della sua cantina. 

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Intanto era arrivato in Italia anche Louis Oudart che il Cavour aveva già conosciuto in Francia e chiese anche a questo la consulenza. 

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A tal proposito, egli disse: «Io avevo riempito di Pinot Nero nelle colline di Grinzane perché ero innamorato dei vini di Borgogna. Intanto ordinai all'enologo Louis Oudart di stilare regole e  diffondere un metodo per la produzione del vino pregiato Nebbiolo.

Fu allora che il Barolo divenne il Barolo». E così cambiò la storia…..

 

L’arrivo del Pinot nero in Piemonte, oltre che alla vicinanza geografica con la Francia, deve quindi molto al Cavour.

 

Ci piace ricordare anche sua nipote Giuseppina che sposò Carlo dei Marchesi Alfieri, i cui discendenti sono proprietari tutt’oggi di una famosa azienda vitivinicola a San Martino Alfieri. Proprio in questa azienda sono stati ritrovati vecchissimi filari abbandonati di Pinot Nero, che si ritengono portati in dote dalla nipote di Cavour. 

I BONGIOVANNI DI CASTELBORGO 

Tra i  Conti Bongiovanni di Castelborgo, che portarono il Pinot Nero a Neive dovremmo ricordare:

 

  • Giovanni Antonio Bongiovanni di Castelborgo, figlio del fondatore della casata

  • Camillo Bongiovanni di Castelborgo

  • Eleonora Bongiovanni di Castelborgo e Louis Oudart

 

Giovanni Antonio era un grande estimatore di Napoleone Bonaparte e di tutto ciò che era francese.

 

Addirittura suo figlio Alessandro sposò Anna Favrat di Belleveux, figlia di un funzionario del Bonaparte a Torino Viene quindi facile pensare che sia stato lui ad introdurre il Pinot nero a Neive.

 

Lo conferma indirettamente Louis Oudart, che nel 1850 scrisse: « ho visto nelle tenute dei Conti di Castelborgo vigneti di Pinot e Gamè (=gamay) vecchi più di 70 anni». 

Significa che già a fine 1700 nelle vigne di Giovanni Antonio Bongiovanni di Castelborgo fu piantato Pinot nero. 


Quando l’Oudart arrivò a Neive, nel 1826, la casata dei Castelborgo era retta da Camillo e con lui collaborò fino al 1862, sia come consulente  viticolo ed  enologico che come commerciante.
Il Pinot nei vigneti fu mantenuto da Camillo e fu ancora coltivato dai suoi discendenti.

Anzi, venne sempre valorizzato più di altre uve.


Nel 1865 l’amministratore dei beni di Luigia Candiani, moglie di Camillo di Castelborgo, scrisse al fattore Barberis: «qualora il Sig. Oudart …cerchi di acquistare le uve della casa si intenderà assolutamente esclusa la qualità detta Pinot….» 

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E così ancora nel ‘900: conserviamo tutt'ora una bottiglia di Pinot 1904 imbottigliata nelle cantine del Castello per conto di Eleonora d’Harcourt Castelborgo.

 


IL MARCHESE LEOPOLDO INCISA DELLA ROCCHETTA 

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Vicesegretario generale presso il Magistrato camerale del Regno Lombardo-Veneto, costretto al pensionamento seguito di un'affrettata visita medica, si ritirò a Rocchetta Tanaro presso Asti e iniziò a occuparsi del patrimonio familiare. 


Nel castello si dedicò all'industria dei bachi da seta e agli studi vitivinicoli.
Nel 1843 divenne membro corrispondente dell'Accademia di agricoltura di Torino. 
La notorietà del Marchese Leopoldo Incisa della Rocchetta è legata all'ampelografia.


Fu in corrispondenza coi migliori ampelografi del suo tempo e diffuse in Piemonte la coltivazione di nuovi vitigni. Tra i vitigni diffusi c’erano anche varietà bordolesi e della Borgogna, tra cui il Pinot Nero.


Il Marchese Leopoldo Incisa della Rocchetta realizzò la collezione nella sua proprietà di Rocchetta Tanaro e il relativo Catalogo descrittivo e ragionato, fu uno fra i primi a comparire in Italia.  Fin dal 1852, aveva istituito un vivaio per produrre e distribuire ai viticoltori barbatelle di varietà di viti tra cui quelle di Pinot Nero che all’inizio erano state fatte arrivare direttamente dalla   Borgogna. 

 

 

LOUIS OUDART

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Non era nobile, ma lavorò al servizio di molti nobili sopra citati, in qualità di consulente.


Nella  prima metà dell’800 il Conte di Cavour incontra Louis Oudart.
Appassionato viticoltore, enologo e scaltro commerciante, Oudart e suo cugino Bruchè hanno aperto intorno al 1926 uno stabilimento a Genova ed arrivano a produrre fino a 18.000 bottiglie di «Champagne» all’anno.


Oltre che in veste di produttore, lo troviamo anche commerciante di vini e prodotti vari legati alla vitivinicoltura  (zolfo, zucchero, barbatelle, vini e mosti) e consulente in Piemonte. Compra già le uve in varie parti delle Langhe quando arriva da Cavour, e cerca di comprare anche le sue, ma vuole pagarle poco. Cavour è forse l’unico che non gli venderà mai le uve.


Si instaurano comunque ottimi rapporti tra i due, anche in considerazione del fatto che Oudart era un buon conoscitore del Pinot Nero e verrà assunto da Cavour prima e da Camillo di Castelborgo poi, come consulente.

 

CARLO GANCIA

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A fine 1800, alla vecchia nobiltà si affiancarono e in alcuni casi sostituirono nuove famiglie di imprenditori ambiziosi, tra cui è d’obbligo citare Carlo Gancia e la scuola spumantistica di Canelli.


L’azienda “Fratelli Gancia” nasce prima dell’unità d’Italia, nel 1850. A fondarla è Carlo Gancia, giovane piemontese che dopo gli studi di enologia ad Alba e le prime esperienze lavorative a Torino, nel 1848 parte per Reims con l’ obiettivo di carpire i segreti della produzione dello Champagne presso la Piper-Heidsieck, Carlo apre insieme al fratello Edoardo una piccola ditta a Chivasso (Torino) dove  inizia a creare il primo spumante italiano.

 

Egli utilizza le tecniche di lavorazione del classico metodo francese e le applica alle uve moscato tipiche della sua zona.


Ben presto arriva anche il primo spumante Metodo Classico Secco – tratto da uve di Pinot nero e Chardonnay – e il successo che fece trasferire la produzione nel paese di Canelli, nell’astigiano, poi divenuta sede storica dell’azienda.  


Negli anni successivi intorno alla Gancia nasce un distretto dello spumante Classico piemontese: Contratto, Riccadonna e tanti altri.


Oggi. tutta questa conoscenza è confluita insieme al Pinot nero nella produzione degli spumanti Alta Langa, che godono sempre più del favore del pubblico. 


E tanti altri che ancor oggi continuano una sfida che è ormai diventata una tradizione, sia per la tipologia «in rosso» che per la tipologia «Metodo Classico». 

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